La produzione di iPhone negli Stati Uniti: un sogno irrealizzabile

Le difficoltà nel trasferire la produzione di iPhone dalla Cina agli Stati Uniti emergono da differenze nella forza lavoro, lacune nella catena di fornitura e costi elevati, rendendo l’idea poco praticabile.

L’idea di trasferire la produzione di iPhone dalla Cina agli Stati Uniti è stata oggetto di recente discussione tra il presidente americano e il CEO di Apple. Nonostante l’aspirazione a riportare posti di lavoro nel paese, le dichiarazioni del dirigente della tecnologia hanno svelato una realtà ben diversa. Questo articolo esplora le difficoltà pratiche e le giustificazioni economiche dietro la produzione aeroportuale di iPhone.

La visione di trasferire la produzione in America

Durante una cena, il presidente degli Stati Uniti si è rivolto all’amministratore delegato di Apple, chiedendo cosa servirebbe per far funzionare la produzione di iPhone negli Stati Uniti. Tuttavia, la risposta del CEO è stata piuttosto disincantata: “Quei posti di lavoro non torneranno”. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’idea di un iPhone “Made in U.S.A.” sembra ormai un’utopia, non sostenibile nemmeno per la maggior parte dei prodotti Apple.

Questa affermazione suggerisce che il modello attuale della catena di fornitura americana non possa supportare un’operazione di produzione così complessa come quella dell’iPhone, sottolineando le differenze significative tra le forze lavoro statunitensi e cinesi. Infatti, molti esperti del settore riconoscono che la flessibilità e la velocità degli operai nelle fabbriche cinesi non possono essere replicate negli stabilimenti americani.

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La capacità produttiva della Cina: un esempio illuminante

Un esempio eloquente di questa realtà proviene da un racconto di un dirigente di Apple, che illustra la rapidità e l’efficienza con cui i lavoratori della fabbrica cinese operano. In una situazione tipica, un caposquadra ha svegliato circa 8.000 lavoratori nella loro residenza all’interno della fabbrica. In pochi minuti, i dipendenti erano già al loro posto di lavoro, pronti per un turno di 12 ore, durante il quale assemblavano componenti fondamentali per gli iPhone. Nel giro di quattro giorni, il ritmo di produzione ha raggiunto oltre 10.000 unità al giorno.

Questa narrazione mette in luce le competenze e l’adattabilità dei lavoratori cinesi, che riescono a rispondere alle esigenze di modifica del processo produttivo con una rapidità sorprendente. Contrariamente, un impianto americano non avrebbe la capacità di eguagliare tali performance, rendendo l’idea di una produzione locale non praticabile al momento.

Contraddizioni e realtà del mercato del lavoro

Tuttavia, il desiderio di riportare la produzione negli Stati Uniti si scontra con una realtà piuttosto implacabile. Secondo un sondaggio del 2024 condotto dal Cato Institute e YouGov, l’80% degli interviewati ha dichiarato che gli Stati Uniti trarrebbero vantaggio dal vedere più persone impiegate in lavori di assemblaggio. Ma, sorprendentemente, solo il 25% di coloro che hanno risposto ha affermato che accetterebbe un simile impiego, che spesso è considerato basso di stipendio e con pochi benefici.

In questa cornice, è evidente come l’idea di ripristinare le fabbriche di assemblaggio negli Stati Uniti possa essere più una nostalgia che una realtà concreta. L’analisi condotta da Molson Hart, fondatore della compagnia di giocattoli Viahart, non fa altro che confermare questa tendenza, evidenziando il divario tra la forza lavorativa americana e quella cinese.

Le sfide logistiche e i limiti della catena di approvvigionamento

Hart evidenzia le lacune presenti nella catena di fornitura americana, spiegando che pur avendo buone risorse per il consumo, la stessa non è efficace nel fornire i componenti necessari per la produzione dell’iPhone. Questo è un punto cruciale da considerare: anche se Apple ha una conoscenza approfondita della costruzione dell’iPhone, non gestisce né produce direttamente i componenti individuali.

A questo proposito, un esempio chiave è la continua dipendenza di Apple da TSMC, un produttore di semiconduttori situato a Taiwan. Questo è un settore in cui il mercato americano ha faticato a competere, rendendo evidente l’importanza della specializzazione nelle varie fasi della produzione.

Tariffe e implicazioni economiche

Per quanto riguarda le tariffe imposte dall’amministrazione Trump, Hart ha espresso un’opinione controversa. Secondo lui, le attuali aliquote non sono sufficienti, e una tassa del 54% sui prodotti cinesi, come un esempio, potrebbe influenzare drasticamente i costi per i consumatori. Ad esempio, prima dell’imposizione di una simile tariffa, Apple avrebbe acquistato gli iPhone a 100 dollari, vendendoli a 200 ai rivenditori. Con l’impatto della tariffa, il prezzo di acquisto salirebbe a 154 dollari, il che porterebbe a un costo di vendita al pubblico notevolmente aumentato.

Hart conclude il suo ragionamento, affermando che le condizioni attuali dell’industria e della catena di fornitura rendono poco sensato spostare la produzione in America. Anche con l’aumento delle tariffe, il costo della produzione negli Stati Uniti risulterebbe comunque superiore rispetto a quello sostenuto in Cina. Conseguentemente, sia Apple che i consumatori continuerebbero a preferire la soluzione cinese, consolidando così il futuro della produzione iPhone al di fuori dei confini statunitensi.

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