Google e Meta rifiutano il fact checking: la battaglia contro la disinformazione continua

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Le principali piattaforme digitali come Google e Meta hanno recentemente comunicato le loro intenzioni riguardo alla questione cruciale del fact checking. Nonostante le pressioni e le linee guida delineate dalla Commissione Europea, queste aziende non sembrano intenzionate a adottare misure concrete per contrastare la diffusione di contenuti non veritieri. La posizione assunta da Google, espressa nella lettera indirizzata alla Commissione, evidenzia una rilevante resistenza nei confronti delle richieste europee.

Le dichiarazioni di Google sulla disinformazione

In una lettera consegnata a Renate Nikolay, vice direttrice generale della Commissione Europea, Kent Walker, presidente global affairs di Google, ha chiarito che l'introduzione di strumenti di fact checking non è considerata adeguata ed efficace per il funzionamento dei servizi offerti. La posizione di Google respinge la possibilità di avvalersi di tali strumenti per rimuovere contenuti non veritieri dai risultati di ricerca o dai video su YouTube. Walker ha sottolineato che il “Codice di buone pratiche sulla disinformazione” non si allinea alla filosofia aziendale di Big G.

Il “Codice di buone pratiche” è stato firmato il 16 giugno 2022 da 34 organizzazioni, tra cui rinomate aziende del settore tecnologico, e mira a stabilire impegni per affrontare la disinformazione online. Con il passare del tempo, altri dieci firmatari hanno aggiunto la loro adesione, ponendo l'accento sulla responsabilità di ciascun firmatario nel garantire l'efficace attuazione delle misure promesse.

Obiettivi e impegni del Codice di buone pratiche

Il documento in questione, il quale si propone di rafforzare la lotta alla disinformazione, sottolinea l'obbligo dei firmatari di adottare determinati impegni. Tra questi, vi è la necessità di demonetizzare i contenuti disinformativi, assicurare trasparenza nella pubblicità politica, responsabilizzare gli utenti e collaborare con valutatori indipendenti. Inoltre, si richiede un migliorato accesso ai dati da parte dei ricercatori.

Tuttavia, il rifiuto di Google di integrare tali misure mette in evidenza un’assenza di accordo tra le grandi piattaforme e la Commissione Europea. In pratica, le aziende sono lasciate a decidere autonomamente quali impegni sottoscrivere, il che potrebbe compromettere l’efficacia del codice stesso.

La strategia di Meta e l'assenza di controllo

Anche Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha intrapreso una strada simile. Mark Zuckerberg ha annunciato che verrà ridotta la visibilità dei contenuti che vengono sottoposti a controllo. Durante una recente comunicazione, ha giustificato tale decisione sostenendo la necessità di “ripristinare la libertà di espressione” e affermando che ciò avrebbe condotto a una diminuzione degli errori.

Questa strategia, tuttavia, solleva interrogativi sulla vera motivazione dietro tali scelte. È evidente che il modello di business delle piattaforme social tiene in considerazione il come l'indignazione e l'odio possano incrementare il traffico e i ricavi. Ciò ha alimentato una crescente preoccupazione sull’evoluzione del panorama informativo, in un contesto in cui la disinformazione sembra prosperare senza freni.

Riflessioni finali sulla comunicazione digitale

Le recenti scelte di Google e Meta pongono in evidenza una questione fondamentale nell'ambito della comunicazione digitale: come contrastare efficacemente la disinformazione. Le alternative per gli utenti oscillano tra l'allontanarsi dai social media o il tentativo di comprendere meglio le dinamiche che li governano. È fondamentale promuovere la consapevolezza riguardo a come i contenuti vengono monetizzati e distribuiti sulle piattaforme, per poter interagire in modo più informato. La sfida rimane aperta e, chi lo sa, il panorama informativo potrebbe ancora evolversi.

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